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Un calcio democratico che promana dai tifosi

Percorsi specifici seguiti dai Supporters per ogni nazione: Inghilterra, Spagna e Germania all’avanguardia

La partecipazione attiva dei tifosi nella proprietà e nei processi di governance dei club ha assunto in Europa forme e modalità peculiari, sulla base dei differenti contesti culturali, legislativi e storici. I supporters hanno avviato percorsi democratici con lo scopo di far sentire la propria voce, per incidere nella gestione o in alternativa, in qualche misura, nella vita del proprio club.

Lo scopo di questo approfondimento è quello di evidenziare sinteticamente le caratteristiche di base di ciascuno di questi percorsi, che si sono sviluppati nel vecchio continente negli ultimi decenni, segnalandone le peculiarità, i tratti distintivi, le differenze, nonché gli aspetti che determinano quando un processo di responsabilizzazione e di coinvolgimento attivo dei tifosi sia considerabile un esempio concreto di partecipazione popolare.

L’obiettivo è duplice: fare chiarezza, in un campo ancora poco noto; fornire gli strumenti per distinguere i validi modelli di partecipazione dalle sgangherate proposte di cd. azionariato popolare (o crowdfunding), iniziative quest’ultime che godono di maggior attenzione rispetto a livello mediatico in Italia rispetto ai tentativi virtuosi, che tuttavia nascono mal celando l’unico vero intento, ovvero quello di usare i tifosi come bancomat senza garantirgli alcun diritto specifico in seno al club né alcun tipo di reale partecipazione.

L’esperienza europea ha evidenziato tre percorsi principali di sviluppo della partecipazione dei tifosi alla vita del proprio club: la via tedesca, quella inglese e quella spagnola. Ciascun modello, come detto precedentemente, è figlio del contesto in cui è nato, ma tutti e tre hanno una base comune di valori e principi, che hanno ispirato le esperienze italiane che SinC | Supporters in Campo sostiene e promuove.

Facciamo però prima un passo indietro, per ripercorrere brevemente i momenti che hanno determinato l’evoluzione del mondo del tifo, fino a condurlo alla ricerca di un protagonismo attivo, non più limitato alla presenza alle partite ma orientato ad avere un impatto costruttivo sul presente e sul futuro del club.

Alle origini, i primi tifosi erano amici o parenti dei calciatori che garantivano, oltre all’incitamento e al sostegno durante le partite, il supporto finanziario alle attività sportive del club, come anche la presenza negli organismi direttivi e la partecipazione alle scelte gestionali: una prassi che avviene ancora oggi nelle piccole società dilettantistiche.

È però alla fine del XIX secolo che, con la progressiva crescita del fenomeno calcistico, la conseguente professionalizzazione di operatori, calciatori e dirigenti, e l’aumento della platea dei sostenitori, si è generata una separazione tra i tifosi e il governo delle società. Cambia la modalità di supporto finanziario da parte dei tifosi, che avviene tramite donazioni volontarie, collette, acquisto dei biglietti o degli abbonamenti dello stadio – oppure, recentemente, per la fruizione televisiva.

Con il mutamento di usi, costumi e strutture sociali, i tifosi si indirizzano verso altre forme di partecipazione alla vita del club. A partire dagli anni Cinquanta, prima in Italia e poi nel resto d’Europa, gruppi di tifosi si organizzano all’interno dello stadio, creando un coordinamento nelle coreografie e nei cori. In ogni caso, il tifo organizzato, sia nella forma di associazioni ufficialmente riconosciute dai club che dei cosiddetti gruppi ultras, non ha avuto, se non episodicamente, voce in capitolo nella direzione e nella gestione del proprio club.

Negli anni Novanta, l’ingresso delle tv e dei grandi investimenti dell’imprenditoria nazionale e internazionale ha portato all’era della commercializzazione del calcio: le società calcistiche si sono trasformate in aziende di intrattenimento globale e la concezione del tifoso come cliente si è rafforzata. La globalizzazione degli assetti proprietari, con l’ingresso di imprenditori stranieri nel panorama dei club europei, ha rappresentato un ulteriore elemento di tensione. Qualcosa nel legame tra i club e i tifosi si è incrinato, se non proprio rotto.

Nei principali campionati europei, la combinazione dei fattori citati, unita agli effetti della crisi economica, ha creato un terreno fertile per la nascita di fenomeni di attivismo dei tifosi: dal semplice dissenso ad oltranza, fino ai tentativi di entrare nella governance del proprio club, proponendosi nelle vesti di stakeholder.

In oltre venti Paesi, partendo dal Regno Unito per poi propagarsi nel resto d’Europa, il fenomeno dell’associazionismo prende piede, animato dall’intento di ridar voce ai tifosi nel governo e nell’amministrazione delle società calcistiche – in alcuni casi, i tifosi diventano addirittura proprietari, in misura parziale o totale, del proprio club – e dalla speranza di riavvicinarsi all’origine popolare, ritrovando quel legame con la comunità che si è
preservato in realtà come la Germania e alcune isole felici della Spagna.

Nel valutare la concretezza di un progetto di partecipazione popolare è necessario quindi rilevare la presenza di alcuni aspetti-chiave, per distinguerlo dalla consueta colletta di ultima istanza tipica del panorama italiano.

Un primo, fondamentale aspetto è la presenza di un’entità aggregativa: un’associazione che rappresenti un contenitore, con una propria struttura interna democratica, che consenta ai supporters di organizzarsi per rappresentare in un’unica voce le proprie istanze al club, fino anche a parteciparne attivamente al capitale; in alternativa, si verifica se il club stesso sia strutturato in modo da garantire meccanismi decisionali democratici.
Quest’entità, per potersi rappresentare come un valido percorso di partecipazione e coinvolgimento attivo dei tifosi, deve necessariamente rifarsi a una base di valori e caratteristiche riassunta come segue:

– La presenza di reali processi democratici: i meccanismi interni, certificati dallo statuto dell’associazione/cooperativa, garantiscono la massima democraticità con il principio “una testa, un voto” a prescindere dalla quota di adesione;
– Indipendenza dalla proprietà (o club gestiti direttamente dai tifosi): nasce da un’iniziativa “dal basso” dei tifosi ed è gestita dagli stessi attraverso le votazioni, la partecipazione agli eventi e i contributi sia in termini economici sia di idee, proposte e suggerimenti;
– Focus sulla comunità: l’attività dell’associazione non si sostanzia solo nel rapporto con il club, ma si sviluppa tessendo una fitta rete con la comunità di riferimento, facendosi promotrice di iniziative di coesione sociale e della creazione di sinergie a beneficio dell’economia e della salvaguardia delle tradizioni locali;
– Non esclusività: le quote di adesione devono essere sostenibili e accessibili a tutti, strutturate in modo da consentire l’accesso a tutti i tifosi indipendentemente dalla condizione economica. Questo affinché la democraticità sia, oltre che formale, sostanziale, con la reale possibilità per tutti di incidere sulle scelte di indirizzo.

Il venir meno anche solo di uno di questi aspetti potrebbe rendere qualsiasi iniziativa, buona nelle intenzioni e sulla carta, facilmente strumentalizzabile sia dagli stessi promotori che dal club di riferimento: si tradurrebbe, di fatto, in un’entità controllata da pochi, non orientata al coinvolgimento del territorio a 360° e priva di meccanismi democratici.

Attraversando nel dettaglio i tre diversi modelli, nelle prossime puntate evidenzieremo altri tratti comuni: democraticità, inclusività, indipendenza, apertura e vocazione sociale che, grazie a un continuo scambio a livello internazionale, continuano a influenzare la crescita del movimento dei tifosi italiani e degli aggregamenti che si stanno costituendo a Siena e Arezzo.

(1 – continua)

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