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sabato, Aprile 20, 2024

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La storia di Villa San Cerbone: nata per famiglie potenti poi ospedale

Dall’alone di mistero che la circonda da secoli sembra che ci sia sempre stata la Villa S. Cerbone a Figline. Con ogni probabilità, all’inizio, potrebbe esserci stato un romitorio e una piccola cappella intitolata a San Cerbone. E proprio da qui, dal nome, cominciano i misteri, perché questo Santo è pressoché anonimo almeno qui da noi. Come sia fiorito il culto per questo personaggio è sconosciuto ai più. Le fonti dicono che sia stato originario del nord Africa, sia arrivato in Italia al tempo dei Longobardi, ma si sia fermato nella bassa Toscana, in Maremma, e lì rimase fino alla sua morte e risulta che in quelle zone sia stato molto venerato. Rimane il dubbio di questa devozione tanto da dedicargli una cappella. Forse chi l’ha eretta veniva proprio dalla Maremma e accanto ha costruito anche una dimora fortificata. Situata fuori dal paese, praticamente inaccessibile, in mezzo ad un fitto bosco, specialmente la parte che guarda il Cesto, era, ed è chiamata tutt’oggi, non a caso la “ragnaia”.

Il chiostro

È ipotizzabile fosse raggiungibile soltanto per l’accesso di oggi, la cosiddetta “senice”. Vogliamo provare a raccontarla prima che diventasse il nostro ospedale del 1889, dopo essere stato per secoli in piazza Marsilio Ficino?

Nell’antico catasto che è conservato nell’Archivio di Stato di Firenze, si legge: “il chasamento posto nel Chomune di Feghine, popolo di S.Bartholommeo a Scampato luogo detto San Cerbone”. Da ciò risulta evidente che su quel colle esisteva già una costruzione di cui non si conosce da quanto si trovasse lì. Le cose si fanno più chiare con l’entrata in scena della famiglia Franzesi Della Foresta, misteriosa e potente casata di origini francesi (come attesta la parola “franzesi”), già proprietaria di una vasta tenuta sull’altopiano tra il Cesto e San Cipriano, detto perciò Planum de Frazensibus, ora Pian Franzese, allorché decise di avvicinarsi a Figline e acquistò (o conquistò?) San Cerbone. Era il 1374. I Franzesi riedificarono l’immobile da capo a piedi e vi si stabilirono al culmine della loro potenza. Ma come la storia ci insegna, più sali in alto e più ti avvicini al precipizio, la casata Franzesi, nel 1427, subì un crollo finanziario e la villa passò di proprietà al monastero di S. Apollonia di Firenze, dove si era fatta monaca l’ultima donna di detta famiglia. Dalle stesse monache fu acquistata, nel 1470, da Giovanni Serristori.

L’antica farmacia

Durò poco anche questo possesso dei Serristori perché, la figlia di Giovanni, Lucrezia, andò in sposa ad un Salviati e suo padre le assegnò in dote proprio S. Cerbone, quindi, di fatto divenne proprietà dei Salviati. Nel corso degli anni cambiarono nuovamente i proprietari: i Caprara, i Borghesi, Lambruschini ed in ultimo Ademollo. Il conte Umberto Serristori la ricomprò nel 1887 proprio da Luigi Ademollo, cominciandovi già da subito a farci nuove aggiunte che sarebbero servite per trasferirvi negli anni successivi l’ospedale che si trovava ancora in piazza. Questo è in sintesi il racconto delle origini e dei passaggi di proprietà della villa.

Per quanto riguarda l’immobile, io, non essendo un architetto o studioso dell’arte, mi limito a dire che siamo di fronte ad un vero e proprio gioiello del ‘400. Nel vecchio S. Cerbone si distinguono due parti: quella a mezzogiorno, che è la più antica e che fa parte a sé; l’altra più recente, modellata su quella antica del XVI secolo, per chiudere tutt’intorno il cortile che è creato con pura arte. Le arcate del ‘300 posano su colonne ottagonali, con capitelli decorati con doppio ordine di conchiglie. Al di sopra degli archi le logge sono chiuse, ma sono indicate da colonnine isolate. Un pozzo, una scala e le porte della stessa epoca formano un mirabile complesso di superiore bellezza. Nell’oratorio della SS Annunziata (tale era il nome dell’ospedale in antico) una “Annunciazione” attribuita al Cardi. Il soffitto policromo, i mobili, il vasellame, la “Madonna” di Ser Ristoro conferiscono una linea preziosa della farmacia.

Dall’alto dei palchetti i vecchi Serristori guardano e sembrano ammonire che tutto sia conservato e che vengano rispettate le antiche volontà scritte nero su bianco nel “famoso testamento” di Ser Ristoro. Qui è sicuramente (quasi) tutto come allora.

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