Si chiama “riserva cognitiva” e si riferisce alla capacità del nostro cervello di affrontare i danni che può subire con l’avanzare dell’età. Come funziona questo fenomeno ce lo spiega Barbara Van As, psicologa specializzata all’università di Padova in psicologia dell’invecchiamento e della longevità. La dottoressa, di origine belga, in questi mesi sta tenendo in Valdarno dei corsi aperti a tutti i cittadini, una serie di lezioni che sono mirate all’insegnamento di tecniche utili per avere un invecchiamento attivo e di successo: “Compiere abitualmente attività che allenano le nostre capacità cognitive è un modo per aumentare la nostra plasticità cerebrale. E questo non solo protegge da alcune malattie, ma porta anche ad una migliore qualità dell’invecchiamento”.
Gran parte di queste tecniche sono il frutto di un’osservazione scaturita qualche anno fa, quando ci si accorse che una medesima lesione cerebrale in realtà non provocava gli stessi effetti sulle persone. Il mistero da risolvere era questo: come mai alcuni soggetti nel loro comportamento di tutti i giorni non risentivano dei danni che pur erano evidenti all’esame fisico dello stato del loro cervello?
La risposta arrivò da un esperimento realizzato nel 1986 dal neurologo David Snowdon dell’università del Kentucky, che consisteva nello studiare un gruppo di suore di un convento. Per 17 anni furono raccolti dati sull’evoluzione di queste funzioni. Quando furono fatte le autopsie, dopo la morte delle monache, si riscontrò che il cervello di una di loro, che nella vita di tutti i giorni non aveva mai mostrato sintomi di demenza, in realtà aveva le caratteristiche patologiche di un malato di Alzheimer allo stato avanzato.
“Questo studio – commenta la dottoressa Van As – ha fatto capire che le persone anziane con più alti livelli di benessere psicologico riportano un declino cognitivo rallentato nel tempo e sono più propense ad essere più sane, a vivere più a lungo e a godere una più alta qualità di vita. Il benessere psicologico passa anche da alcuni fattori protettivi, come ad esempio: l’auto-accettazione, la crescita personale, le relazioni positive con gli altri. E poi uno scopo di vita, l’autonomia, l’autodeterminazione e indipendenza, e soprattutto la capacità di dominare l’ambiente che ci circonda e non essere passivi rispetto a decisioni prese da altri”.
E i rischi che il nostro cervello deve fronteggiare con il passare degli anni sono molteplici. “Ad esempio si è visto che la solitudine vissuta nel periodo di isolamento sociale dovuto alla pandemia da Covid- 19 ha prodotto più ansia e depressione nelle persone di tutte l’età, tanto che in questo periodo i casi di demenza sono aumentati moltissimo” ha rivelato la dottoressa Van AS, commentando a Pontassieve i risultati del progetto “Confronti Virali” realizzato dalla Fnp Cisl di Firenze Prato, che ha raccolto in un opuscolo molteplici testimonianze di “vissuto quotidiano” da parte di tantissime persone, compresi bambini e pensionati.
“La qualità dell’invecchiamento è diventata, a livello mondiale, una delle più importanti sfide sanitarie, sociali, politiche ed economiche. Da qui la necessità di promuovere un invecchiamento attivo e di successo che passa anche attraverso uno screening cognitivo da realizzare con le persone di età compresa tra i 55 e i 75 anni – aggiunge la dottoressa Van As – I programmi di potenziamento cognitivo, come quelli che abbiamo avviato a Figline e a Matassino, permettono quindi alla persona di utilizzare le proprie risorse cognitive in modo più flessibile. Perché, come abbiamo visto, una mente allenata è una mente che subisce meno l’impatto dell’invecchiamento cerebrale e ostacola anche l’eventuale progredire delle demenze”.