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La medicina nucleare, un fiasco di Chianti e lo sciopero

«Pronto? Il navigatore italiano è appena sbarcato nel nuovo mondo»

«Ah! I nativi erano amichevoli?»

«Tutti sono sbarcati salvi e felici»

Questa telefonata surreale fu fatta il 2 dicembre del 1942. Ovviamente la conversazione era in codice: il navigatore italiano non era Cristoforo Colombo e il nuovo mondo appena scoperto non erano le Americhe bensì il mondo dell’energia nucleare, la stessa che poi produrrà infiniti lutti con le bombe di Hiroshima e Nagasaki, ma che attualmente sta salvando migliaia di vite umane, proprio in virtù dei progressi fatti dalla della medicina nucleare, utile sia nella diagnostica che nella cura, grazie soprattutto ai cosiddetti radiofarmaci.

Ma che c’entra nella storia della medicina nucleare un vecchio fiasco di Chianti impagliato con la rafia (o raffia, come dicevano le ‘fiascaie’ valdarnesi specializzate nell’impagliatura). E che c’entra lo sciopero? E soprattutto chi è il misterioso navigatore italiano scopritore del nuovo ordine?

Andiamo per ordine. Stiamo parlando del premio Nobel per la fisica del 1938 Enrico Fermi. Il suo nome è tornato di attualità in queste settimane grazie ad un film scritto e diretto da Christopher Nolan. La pellicola, che sta ottenendo un buon successo, è basata sulla biografia Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. In realtà il primo passo del cosiddetto “Progetto Manhattan”, diretto da Oppenheimer, partì proprio dall’Italia: prima con i cosiddetti “ragazzi di via Panisperna”, ovvero quel gruppo di giovani geniali (Ettore Majorana, Emilio Segrè, Bruno Pontecorvo… solo per citarne alcuni) che a Roma avevano affiancato Enrico Fermi nella scoperta dei “neutroni lenti”, grazie ai quali lo stesso Fermi (fuggito nel 1938 negli Stati Uniti per proteggere la moglie Laura Capon, di origine ebraica) riuscì poi a bombardare il nucleo atomico, dando forma al primo reattore nucleare della storia. Un apparecchio che stranamente fu costruito sotto le vecchie tribune di uno stadio abbandonato all’interno dell’Università di Chicago. Perché una scoperta così importante avvenne in un luogo così squallido? Tutta colpa, o merito, di un lungo sciopero dei lavoratori che aveva impedito la costruzione della cosiddetta “pila atomica” (ancora non si usava il termine ‘reattore nucleare’) all’interno dell’Argonne National Laboratory. Così Fermi e i suoi colleghi, per non interrompere il lavoro, cominciarono ad “impilare” blocchi di uranio naturale e di grafite all’interno di un vecchio campo da “racquets” (gioco con la racchetta) che ormai era caduto in disuso. E sotto quelle tribune abbandonate l’esperimento, piuttosto rischioso, ebbe luogo senza produrre danni. La pila rimase accesa per ben 28 minuti.

La riuscita del “Chicago Pile–1” venne comunicata dal responsabile Karl Taylor Compton a James Bryant Conant, presidente del National Defense Research Committee, proprio con quella strana telefonata in codice, dove il navigatore italiano era Fermi, il nuovo mondo era quello nucleare, e soprattutto erano sbarcati sani e salvi tutti quelli che avevano preso parte all’accensione del primo reattore nucleare della storia.

Una impagliatrice di fischi mentre infila l’ago per rivestire il vetro con il prodotto vegetale

E il fiasco di Chianti che c’entra? Il vino italiano, imbottigliato a Castellina in Chianti da Bertolli (la stessa azienda famosa per l’Olio di oliva) era stato importato negli Stati Uniti da un commerciante di Chicago. Quel caratteristico fiasco toscano (Figline ne produceva in grande quantità) fu acquistato il 2 dicembre del 1942 proprio per festeggiare la riuscita dell’esperimento che parlava italiano. Sul rivestimento in vegetale ancora oggi sono leggibili le firme dei membri che componevano lo staff dell’esperimento Cp-1: Enrico Fermi, Walter Zinn, Albert Wattenberg, Herbert L. Anderson, Norman Hilberry, Samuel Allison, Thomas Brill, Robert Nobles, Warren Nyer, Marvin Wilkening, Harold Agnew, William Sturm, Harold Lichtenberger, Leona Woods e Leó Szilárd.

Prosit (che giovi), avrebbero detto i latini dopo quel brindisi. Soprattutto la speranza è che tutto ciò ora “giovi” al progresso della medicina.

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